LEONE D’ORO per il miglior film a:

Ang babaeng humayo“, Leone d’Oro

ANG BABAENG HUMAYO (THE WOMAN WHO LEFT) di Lav Diaz.

A cura di Alessandra Piubello

Horacia Somorostro (Charo Santos-Concio) vive da trent’anni in un centro di detenzione, dove sconta un ergastolo per omicidio. Essendo stata maestra, impartisce lezioni alle altre detenute e ai loro figli. Finché un giorno arriva una notizia inaspettata: è libera di andarsene. Non era stata lei infatti a uccidere, ma un’altra donna che ora ha finalmente confessato. Siamo nelle Filippine, nel 1997.

Lo Stato insulare asiatico a maggioranza cattolica vive un periodo critico con un aumento vertiginoso dei rapimenti e della criminalità, mentre il mondo è sconvolto da una serie di lutti celebri che rattristarono quell’estate: da Gianni Versace a Lady Diana fino a Madre Teresa di Calcutta.

Horacia torna al suo paese e ritrova la figlia cui racconta come sia stata incastrata dal suo ex, un signorotto locale di nome Rodrigo. Come l’omonimo manzoniano, anche questi non sembra essersi pentito delle proprie malefatte, nonostante vada in chiesa e ne parli col prete.La nostra eroina, però, non si affida più alla provvidenza, bensì medita vendetta. Si procura una pistola e si informa sugli spostamenti del suo obiettivo. Ma poi soccorre il travestito Hollanda (John Lloyd Cruz), pestato a sangue da un gruppo di ragazzi omofobi, lo accoglie in casa e lo cura amorevolmente.

Tra i due nasce una curiosa amicizia (si mettono persino a duettare su brani di musical americani) che spingerà lui a ripagarla compiendo la vendetta al posto suo. A quel punto Horacia cercherà di ritrovare l’altro suo figlio, di cui non sa più nulla da tempo, stampando e distribuendo volantini che inonderanno le stradine della sua isola.

Girato in bianco e nero e della durata di quasi quattro ore, questo film premiato col massimo riconoscimento dalla giuria presieduta da Sam Mendes (American Beauty, Skyfall) sfida apertamente i gusti del grande pubblico.Il suo autore, il cinquantasettenne filippino Lavrente Indico Diaz, è noto per i suoi “lunghissimometraggi” (anche di nove ore!) e ha già ottenuto riconoscimenti, tra gli altri, a Venezia (dove vinse la sezione Orizzonti nel 2008 con Melancholia, 7h 30m) e a Locarno (Pardo d’oro nel 2014 per From What Is Before, 5h 38m).

L’impegno politico e sociale che pervade tutta la sua opera è riassunto nella dedica fatta al ritiro del Leone d’oro: «Al popolo filippino e alla sua lotta» e, non a caso, la Mostra di Venezia lo ha definito “il padre ideologico del nuovo cinema filippino”. La storia narrata è ispirata a un racconto di Lev Tolstoj (Dio vede la verità ma non la rivela subito) ed è messa in scena senza barriere temporali, così da immergere lo spettatore in un’autentica esperienza di vita. Naturalmente a patto che si abbia la pazienza e la resistenza di arrivare fino in fondo…